venerdì 8 luglio 2011

Sulle strade dolomitiche con la mia 127 (LUT BaD's version)

Marco Ermy e Paolo Zocchi, amici di un piccolo “striker team” battezzato subito “Gruppo Voliera” per la cospicua presenza di fanciulle, seguaci del verbo del Sen Sei Leo, mi chiedono come abbia passato il sabato sera.
Siccome la serata parte da Auronzo e arriva sempre lì non c’è motivo che si proceda con ordine e la storiella perciò torna indietro all’”Incontrario”. Curiosamente comincia verso le dieci di domenica quando dal letto di Marco vedo aprirsi una lama di luce ed una ninfa, fresca come una prugna al gelo mattutino, mi si accoccola a fianco mentre softly as in morning sunrise mi tira fuori le tre cose più belle del giorno prima.
Mi spiace per voi: non le saprete mai. Ride invece lei, quando vede che sotto il pile North face ho la maglietta tecnica con le maniche lunghe della Magredi mountain trail, la maglietta per lo sci da fondo presa in cantina allo sci club di Orsago e la maglietta, sempre ultra tecnica Nike (altrimenti cosa potrà pensare di me Lele se non sono abbastanza tecnico?) a pelle: sicuro di stare bene come mi hai detto? Ma l’incanto dura poco perché arriva l’”Esimio Strarompi” che dopo avermi chiesto se l’”avessi finita” e gli altri dati salienti della corsa (quanti km. Erano?, hai vinto?, sono venuti il Vecio Trapper e la Lia?, …, hai mangiato le uova sode?) attacca briga perché giustamente è ora di essere sbrandati con la frase di battaglia che gli ha insegnato il Cobra (una roba affettuosa del tipo “Ignoranti! cosa dormite? quando sarete sulla tomba riposerete per sempre”).
Ho fatto una paionada senza sogni dalle due, preceduta da un pisolo in auto appena sotto casa. E’ un semplice omaggio al mio ex capitano della Pizzeria Da Nicola, maestro nel farsi ritrovare alle sette e mezza ancora sul sedile, il mio comunque non dura più di 20 minuti: da San Vendemiano il ritorno è filato liscissimo, solo qualche flash back stile reduce Iraq mi ha assalito (con i suoi dubbi “e’ estate o inverno, è notte o mattino?”). Tutto comunque serve a tenerti sveglio e per fortuna nessuno in divisa mi ha fermato, sarebbe stato imbarazzante sentirsi chiedere la patente. Non c’è lo quasi mai normalmente, figurarsi se riesco a tirarla fuori ora sommersa in qualche buco sul bagagliaio (almeno spero). Inoltre sarebbe Luglio e sono tabarrato in stile “pan e vin” (falò dell’epifania)….
Qualche colpo di sonno anche sul sedile dietro dell’Alfa che da Auronzo ci porta a velocità relativistiche appunto a San Vendemiano nel piazzale della Chiesa: per fortuna ho avvertito gli amici dell’equipaggio che se rispondo ad minchiam è perché mi sto “perdendo via”sul sedile dietro. Prima di partire mi calo in vena un goulash strepitoso con una cioppa de pan servito da El Mammut in maniera impeccabile: tocio fin che basta. Il meraviglioso sapore mi riporta al Baion, dove la compagnia del servizio corsa (Alchi, Lele, Ciano e due bionde di supporto) mi avevano annunciato un trip serale al passaggio dell’ultimo concorrente basato sul piatto ungherese e birra Forst. La poesia si interrompe però a causa della visione nefasta di Rudy bardato nelle parti inferiori con asciugamano da “gay indeciso” che mi porta alla conclusione che il palazzetto di Auronzo sia l’unico posto dove 4 muri e un tetto riescano ad abbassare la temperatura di qualche grado rispetto all’esterno. Per fortuna che alle undici, diciamo le 23 per chi non si intende di queste cose, come mia zia Rina (“Nini, te ga fat la su e zo pai ponti? Do ore intiere a corer col scuro”), la doccia è very hot e un po’ di calorie le faccio mie. Il freddo, non so se lo avete mai provato ma dopo una corsa “potente” (come dice Oscar) non è semplice freddo. E’ “freddo panico”, quello che pensi possa farti tremare anche se te ne vai in sauna: a me comincia a venire subito dopo arrivato al traguardo dove conquisto il gilet “finisher” e non quello “finished” come pensavo accadesse sulla Forcella Grande, anche se finito lo sono davvero perché dopo il ponte giro a destra per il bucintoro, arrivo al pala ghiaccio e imbocco contromano il rettilineo d’arrivo (neanche Davide Zugna sbaglierebbe qui): in ogni caso, incredibilmente arrivo. La mia Fiat 127 ha fatto 90 km di tappone dolomitico e ancora va. Si, quello che porta a spasso le mie emozioni è una Fiat 127, fa casino, sbuffa in salita, fa 10 con un litro , quando fa caldo i sedili puzzano di gasolio e quando piove da giù ruggine ma “fin che la barca va”…. Ancora più incredibile tuttavia è riuscire ad arrancare (e corricchiare anche) per quasi 23 ore. Saranno le montagne più belle del mondo, sarà la corsa più in voga, saranno gli amici più mattocchi ma quando si va per sentieri la fatica si fa da soli e la mia 127 non è certo “abarth” o “sport”.
E cosa dire che pur arrivando “merdesimo”, come direbbe mio fratello Piero, al traguardo ti senti come Tardelli dopo il gol al Bernabeu? Non ho risposte ma è un bel momento perché oltretutto non ho vesciche, non mi fanno male le cosce, i polpacci non crampano, non mi viene malessere allo stomaco , non sono neanche stufo e nella mente non ci sono pensieri, è anche questo è un segreto perché anche la corsa, come il cazzo, di pensieri non ne vuole. E vai con l’urlo allora, che tengo dentro me, perché appunto dopo Tardelli e Toni Dallara è meglio che si urli solo in camera.
Gli ultimi km dal Baion al paese sono tosti, chi dice 14, chi dice 7, come in politica siamo in Italia c’è pluralismo e provo a inseguire in discesa il Geppo e la Paola (faccio i conti: 14+7=21 diviso 2 per far media e dare ragione a tutti fanno circa 10, anche per fare bene i conti, a 6 al minuto arrivo in un ora: uauh!). Se al Baion sono le nove arrivo alle dieci giù e non accendo la luce della lampada: tutte minchiate perché i km sono di più di 10 o sono io che vado più lento. Poco male se non li becco, li abbraccerò più tardi, è davvero come se arrivassimo assieme: ci siamo pungolati, coglionati e aiutati nei momenti più difficili e non è possibile non riconoscerci una sorta di “spirito di squadra”, forse una parte importante appunto del so called “spirito trail”. La discesa a me piace, ma l’ultima parte fa buio pesto ed è quasi una pista da sci, un passo falso e col cacchio che arrivi alla fine, anche se mancano tre km.: sicchè plan planut se no ti può cadere il gelato e ti metti a frignare come un bambino. Ci metto tanto si, ma Lele e Alchi mi hanno talmente “tirato su di catena” che vado bene e supero un po’ di gente sul percorso, tra cui un ragazzo degli amici del Tram di Opicina in crisi patocca che battezzo al volo “il cotto triestino”. In seguito mi perdo via con il telefono che in black out fino a poco fa ora si attiva tanto da diventare molesto con i messaggi di chi ti ha cercato: molesto lui, non chi ti ha chiamato, che ti da ancora un po’ di grinta per l’ultimo tratto. Davvero tanti gli incoraggiamenti virtuali, tutti “sai coccoli” e che fanno bene perché “difficile non è partire contro la corrente, ma caso mai senza un saluto”, proprio così.
Anche la discesa fino al Baion la faccio rapida perché mi sento bene: la crisi nera della salita al Chiggiato (a occhio sui 1000 m, quando ne hai già fatti sui 4000 e sei sui 65 km) è svanita nella cordialità del benvenuto che ci porge il rifugista e nel mix rinvigorente birra + caffetone che mi calo appena seduto.
Prima solo fatica, ma roba davvero tosta, ho rivisto le righe colorate dei vecchi televisori quando erano finite le trasmissioni: il Geppo mi guarda con compassione e mi incoraggia, Enrico, un amico di strada trevigiano incrociato sul percorso è più in nera di me ma “de russ o de struss” vogliamo arrivare. Ci sediamo tre, quattro, …, otto volte per spezzare la salita ma Lia me lo aveva già preannunciato: lì più o meno tutti soffrono. Chissà se facendo più salita, come mi aveva avvertito Leo, sarei andato meglio o se la 127 fino lì arrivava e poi si imballava istess, anche con il miglior rodaggio … Si vedrà la prossima volta, magari la tirerò di più “se no la diventa mussa”, come dice Dario che guida BMW e intanto su piano, respira, passettino, su, passettino respira. Mi aiuta a sgombrare la testa e ritmare il respiro la preghiera del Mahatma Gandhi. Ad ogni modo il tempo Cai è di 1 ora e 40, il tempo Bad sicuro oltre 2 ore: meno male che piove poco altrimenti i s-ciosi mi passavano via.
Dopo il gps perso a Savassa (chi lo trovasse mi avvisi pure che gli porto il cavetto usb) perdo anche un altro regalo di compleanno (la maglietta gialla La Sportiva) sulla strada dopo la capanna degli alpini dove la pasta non scende e l’umore non è buono: Geppo e Paola non sono messi meglio ma ormai abbiamo quasi fatto la bocca ad arrivare prima del buio e quindi via veloci, più si aspetta peggio sarà. Alla capanna giungo dopo un discesone tosto che sarebbe bello affrontare in bomba a manetta, se non ci fosse ancora molta strada da fare e un torrente da guadare su un ponticello artigianale. Scendo insieme a due runner di Abano che provano a fare pubblicità della TCE: li blocco subito dicendo che la TCE è ormai fissa in calendario sportivo e si può saltare solo per GMF (gravi motivi familiari per chi non ha fatto il militare).
Devo confessare che prima di attaccare la Forcella Piccola, affrontata ad andatura quasi statica come l’avrebbe definita il mio Professore di fisica tecnica (ma mooolto più veloce della salita al Chiggiato), avevo meditato di buttarla in vacca e montare sulla Jeep del Soccorso Alpino. Ovviamente non ne avevo fatto cenno a Filippo (che sarebbe sempre il Geppo) né a Paola: non mi andava di irritarli, non se lo meritavano. Ha pesato molto il fatto che la Jeep non c’era e che il Rifugista alla fine si è deciso, dopo 5-6 minuti di azzi suoi e due cruciverba, a farmi il caffè e darmi la consueta birra: se fosse stato il Max, in puro spirito Ertano, gli avrebbe tirato giù un rosario di porchi e lanciato uno sgabello dietro al banco….
La prima fatica seria comincia nella salita alla Forcella Grande. Un po’ come il liceo scientifico comincia in terza, diceva il mio Prof di matematica, il biennio è solo una buona scuola media: così la LUT parte dalla Villa Gregoriana, i primi 44 km, le prime otto o nove ore sono per scaldarsi. Per fortuna a metà via mi faccio una buona minestra (una coppia mi dice che con questa minestrina e cocacola hanno fatto il Monte Bianco come ridere), il terzo uovo sodo da ieri (Pin dice che non mangio ma non è vero) e un buon bidet per prevenire quel fastidioso prurito: orfano di Caio e del suo servizio fax ho dovuto produrre in fretta e furia una vellutata, a cui mancava solo un ciuffo di panna in cima, lasciandola tra i mughi per la gioia di mosche e tafani. Scusate i dettagli ma “la salute e el cul che caga no xe ori che li paga”, come dicono i Padovani delle Bronse Cuerte.
Prima della Villa Gregoriana un altro bel discesone “de paura” ma fino a lì il fisico è a 1000 e ti godi solamente i paesaggi magnifici: dalla malga del 30 km (col Mammuth sempre operativo a manetta come ristorista) e prima alla Val Rimbianco è uno spettacolo. Niente però in confronto con lo scollinamento dopo il rifugio Lavaredo con il panorama delle tre cime. Il vento è stato gelido, soprattutto al primissimo ristoro: fuori ci saranno stati zero gradi ma il cielo diventa così terso che per noi cittadini inquinati dalla luce la via lattea è uno stupore che passa sopra ogni cosa, e, come i bambini, facciamo “ohh”. Siamo vicini alle quattro (di mattina zia non di pomeriggio) e mi sono rotto le palle con la frontale: off, basta, ci si vede senza e ogni minuto il chiarore è più bello. Non si tratta di più luce, luminosità, lux, lumen è proprio più bello e le tre cime e le altre sei, sette, venti quante sono ti fanno fermare a guardarle, tanto sono“softly as in a morning sunrise” come le labbra di Sara che mi si appoggeranno sul viso tra oltre 30 ore.
Probabilmente lo aveva già capito, facevo bene a tacere, ma è lì che glielo dico comunque: “Grazie. Non mi sarei iscritto di mia iniziativa a questa corsa, non la pensavo alla mia portata. Non so se arriverò alla fine, se le sospensioni e le gomme reggeranno al terreno dolomitico, ma solo questo ambiente merita il prezzo del biglietto e della preparazione”. Qualche cazzone tipo Eugenio il PazZ0 direbbe che per vedere questa situazione basta salire in auto al rifugio e aspettare le 4 di mattina a bere ombre, e forse non avrebbe tutti i torti: quando sarà in carrozzella col flebo in vena farò così, quando sarò stanco andrò a dormire di notte invece di correre, come direbbe mio fratello Osvaldo, ma ora “un'altra volta e notte e corro”. E di pirla come me ce ne sono altri 5-600 con le frontali, un esercito di gente cui non devi spiegare nulla di perché sei lì, perché hai fatto la fila ad iscriverti, perché ti sei allenato da 5 mesi, perché non giochi più a calcio, di perché non corri più su strada. Gente che non sai come si chiama ma che in qualche modo conosci, alcuni sono delle Ferrari, altri sono delle BMW, io invece penso di essere una 127: tanto, anche con la 127 il venditore di auto di diceva sempre e comunque“Co sta qua te va dove che te vol” e si trombava come sulla Mercedes, forse anche di più mi dicono, chiaro, ai tempi giocavo a soldatini e guardavo supergulp.
Anche per questo la salita verso le tre cime che si affronta per prima invece di una gara sembra proprio una festa: uno dietro l’altro, carichi come siamo 1500 m. di salita non li sentiamo neanche, appena partiti dalla piazza da Auronzo, bardati come Gormiti . Prima dello start le solite cose del pregara con il Grillo parlante che appare in sogno dicendo “Ma siete proprio sicuri di partire: non è troppo ?!” Affanculo!: la corsa, come la maggior parte delle cose della vita, non vuole pensieri.

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